PITAGORA CONTRO JOHN WAYNE
Chi sia Pitagora lo sanno tutti, anche se John Wayne lo
supera in notorietà per il successo nei film western in cui egli è protagonista.
Tra i due personaggi intercorrono fino a oggi duemila e cinquecento anni, da quando
nel 532 a. C. Pitagora fondò la sua scuola a Crotone, attorniato da giovani
desiderosi di apprendere. John Wayne nei film compare attorniato da cowboy e
pistoleri armati, che si azzuffano e si sparano nei bar e nelle praterie.
I cowboy americani,
i ragazzi delle vacche, bovari o
vaccari, badavano nei ranch alle mandrie di vacche, allevate dai proprietari
terrieri e destinate al macello nelle città. Molto spesso esse erano rubate,
ritrovate e recuperate dai proprietari armi alla mano, ma il destino delle
vacche era sempre lo stesso: nei film e nella realtà non c'era nessuna attenzione
per la sorte di quegli animali. La vacca, il bue e il vitello erano e sono
ancora considerati oggetti inanimati il cui compito è fornire grandi bistecche
agli americani.
Nelle popolazioni italiche invece, Pitagora trovò la venerazione
per il bue, rispettato come aratore che perciò non poteva essere ucciso e, anzi,
era onorato e offerto alla divinità come pane in forma di bue. Gli storici riportano
che Pitagora si rifiutò di uccidere il bue che un uomo gli aveva dato perché lo
sacrificasse, e lo lasciò libero di pascolare vicino a un tempio. Egli stesso poi
adottò la tradizione italica del Bue di Pane, che offrì alla divinità in
ringraziamento per la scoperta del suo famoso teorema.
Possiamo ora chiederci se sia superiore la civiltà
americana dei macelli, dove animali come i vitelli piangono prima di essere
sgozzati, o la civiltà dell'India, dove la vacca è sacra e libera di muoversi
su tutto il territorio. E ci chiediamo anche se i nostri meridionali emigrati
in America non portassero ai mangiatori di carne una civiltà superiore, quella
dell'umile pizza, che senza campagne di marketing è diventata il cibo più
conosciuto al mondo. Nel 1910 mio nonno Bruno emigrò negli Stati Uniti e
dovette vendere il carro e i due buoi che lo tiravano. Uno dei due buoi era così
grande e forte che il suo giogo doveva essere bloccato con una catena per non
squilibrare l'altro bue. Dopo decenni il nonno lo ricordava ancora,
rimpiangendo di averlo dovuto vendere.
I percorsi della civiltà sono sempre complessi e spesso
sotterranei, ma una conclusione appare evidente. Se vogliamo sopravvivere e
vivere bene, dobbiamo adeguarci tutti all'etica italica e pitagorica della Prima Italia, quella del Bue di Pane, che noi abbiamo ripreso come
simbolo della fine di ogni violenza. Evoè!
Salvatore Mongiardo
29 dicembre 2020
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