EPIFANIA
Dedicato all'amica
Edwige Renaud di Parigi che ha tradotto in francese il mio libro:
IL PENTALOGO DI
PITAGORA - LE PENTALOGUE DE PYTHAGORE
Nella mia
infanzia, diciamo tra il 1941 e il 1950, l'Epifania si chiamava Battesimo (Vattìsimu) o anche Befanìa. Era il giorno che i bimbi trovavano la calza con i
dolcetti e a volte anche dei pezzetti di carbone, se avevano commesso
marachelle. La vecchia Befana, con il mento a punta e il sacco in spalla,
andava per i tetti delle case sui quali i gatti si accoppiavano emettendo forti
miagoli di piacere e dolore. Entrava dal fanò,
la tegola mobile che si apriva per fare entrare la luce, lasciava la calza sul
lettino e continuava la visita agli altri bambini. Fanò è una parola greca che significa far vedere, la stessa parola di Epifania. Dal fanò entrava non solo
la Befana, ma anche la Madonna che portava nel cesto di vimini (cannistreddha) le mie sorelline Elena e
Franca quando venivano al mondo. L'uso di esporre nel cesto delle primizie i
neonati risale alla Magna Grecia, e a Sant'Andrea è ancora vivo nei presepi e
in chiesa. Nel 1950 a Sant'Andrea sono
nati 140 bambini e 40 sono stati i morti. Di oggi non parlo nemmeno.
La notte
prima dell'Epifania per me era magica perché succedevano cose portentose: dalle
fontane correva olio, non acqua. Lo diceva mio padre, che era anche fontaniere
comunale, e non potevo non credergli. Noi avevamo un grande fusto di metallo (zirra) pieno di olio e quindi in casa
c'era abbondanza. Poi il livello della zirra scendeva durante l'anno, e si
sperava in una buona annata di olive per poterlo riempire. Togliersi l'olio da casa, cioè venderlo, era una cosa sconveniente
e si faceva solo in caso di estrema necessità. Ancora oggi il regalo di una
bottiglia di olio nuovo a parenti e amici è un gesto molto apprezzato.
Quella sera
era per me difficile, perché dovevo stare a letto e dormire, altrimenti la Befana
non mi avrebbe lasciato nulla. Volevo anche però spiare la vicina fontana
accanto al Calvario per vedere quando cominciava a scorrere l'olio, e così
poter avvisare i vicini per attingerne. A quella fontana durante il giorno le
donne facevano la fila (vicenda) per
riempire le grandi anfore (lanceddha)
o a volte anche il barile di legno. Il barile lo riempiva per il medico Voci anche
il simpatico Cèrbini, che, nell'attesa della sua vicenda, si appoggiava al
muretto della fontana, poggiando per terra solo la punta dei piedi, scalzo com'era,
per ripararsi dal freddo del bagnato.
Faceva buio
presto ed io sgusciavo fuori di casa con la scusa di andare dai nonni, che
abitavano accanto, e andavo alla fontana in attesa del portento. Guardavo dal
Muretto di Sofia, la mia bisnonna, il mare verso Badolato sul quale la luna
disegnava un calice d'argento, e quello scenario mistico mi rafforzava nella
convinzione che l'olio stava per arrivare. Mia madre però mi chiamava e allora
rientravo, raccomandandole però di stare attenta all'arrivo dell'olio. Ancora
il giorno dopo le chiedevo se fosse arrivato, ma lei diceva che quell'anno non
era venuto, perché il mondo si era incattivito. Forse l'anno dopo, se tutti facevano
i buoni…
Ricordavo
queste cose ieri sera, rivivendo quell'atmosfera di pace e dolcezza infinita, e
poi dalla TV arrivavano notizie di uccisioni e grida di vendetta in Medio
Oriente. Nemmeno ai tempi di Gesù era un bel vivere, e lui stesso dovette
fuggire in Egitto per salvarsi, finendo poi orribilmente in croce. Ora mi torna
in mente mio nonno Bruno, seduto al balconcino, quando cantava la canzone di
Sant'Alfonso:
Amai finora il mondo
Sperai da lui la pace
Ma lo trovai fallace
Malvagio e traditore.
Il vicino Caramante passava e confermava: Mundu mpamu (mondo
infame)!
Salvatore Mongiardo
6 gennaio 2020
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