Pio XII e mio cugino Vincenzo
Papa Pio
XII non ha bisogno di presentazione, mentre mio cugino Vincenzo sì, anche se di
lui ho scritto nel mio Ritorno in
Calabria un intero capitolo, e poi ancora nel mio Sesso e Paradiso. Vincenzo Codispoti (1916-1996) era la persona più
amabile e affettuosa che si possa immaginare, e il più amato da me tra tutti i
miei numerosi cugini. Egli era, in realtà, cugino primo di mia madre.
La vita di
Vincenzo fu segnata dalla sventura già in tenera età, quando perse per malattie
i genitori e due fratellini. Fu allevato dalla zia paterna Mariantonia, la germanese, così chiamata per la sua
alta statura e i capelli biondi. Lei non volle sposarsi per dedicarsi interamente
a lui, e a volte commentava che Vincenzino era nato la sera del 29 novembre
1916, quando la luce elettrica arrivò in Sant'Andrea: Ma per lui fu più scuro della mezzanotte!
La zia lo amava più di un figlio, e pensò di mandarlo nella
comunità dei Padri Liguorini, quella fondata da Sant'Alfonso dei Liguori, dalla
quale fu allontanato alla vigilia dell'ordinazione sacerdotale per disturbi
psichici a lui causati dal duro regime quasi carcerario di quella
congregazione. Superò poi brillantemente gli esami di maturità classica a Roma,
dove fece scalpore perché si presentò alle prove scritte di latino e greco
senza vocabolari, dei quali non aveva bisogno. Si iscrisse alla facoltà di
lettere e superò tutti gli esami, ma non si poté laureare, perché chiamato alle
armi allo scoppio della seconda guerra mondiale. Fatto ufficiale, fu inviato in
Albania, dove non poteva combattere perché l'unica mitragliatrice era inceppata,
e lui cercava di ripararla di notte al lume di una candela, mentre rifletteva:
Potrei morire in questa trincea da un momento all'altro e in paese, a Sant'Andrea,
nessuno saprebbe nulla!
Dopo
l'armistizio del 1943, fu catturato dai tedeschi con tutto il contingente italiano
e spedito in Germania in un campo di prigionia - non un lager - dove i soldati
italiani facevano lavori forzati in una miniera di rame.
Il comando tedesco offrì la possibilità di insegnare la
lingua tedesca agli italiani, che si rifiutarono in blocco per un comprensibile
sentimento di nazionalismo. Vincenzo fu l'unico che accettò, e arrivò a
padroneggiare così bene quella lingua che i tedeschi ne erano meravigliati.
All'arrivo degli americani, il campo si svuotò di prigionieri, ma Vincenzo fu
lasciato solo, perché si era infortunato un piede. Allora, zoppicando, si
avviò sopra un ponte di ferro, pieno di soldati tedeschi in ritirata su camion
e panzer, mentre lui, da solo, percorreva il ponte in direzione opposta.
Nessuno dei soldati tedeschi gli fece alcun male, cosa che lui raccontava con
ammirazione.
Rientrato a
Roma, si presentò per avere l'assegnazione della tesi di laurea, ma i
regolamenti prevedevano allora che ai reduci fosse data la laurea a vista col punteggio minimo, cosa che egli rifiutò con sdegno,
né mai più volle dare l'esame di laurea. Fu poi assunto nel servizio consolare
e mandato a Tirana, in Albania, dove nessuno voleva andare a causa del regime
comunista di allora, ma dove Vincenzo conobbe Angelica, cittadina greca, che
svolgeva funzioni consolari per la Grecia.
I due s'innamorarono e da allora vissero sempre assieme
appassionatamente, anche se con mille precauzioni, perché il governo greco proibiva
ai suoi dipendenti di frequentare membri del servizio consolare italiano, dopo
la vile aggressione fascista alla Grecia.
In seguito
furono entrambi trasferiti a Londra, dove Vincenzo finalmente poté sposare
Angelica col rito civile. La cosa scontentò la zia Mariantonia, super
cattolica, e allora i due la accontentarono con regolari nozze cattoliche. In
pratica quel matrimonio sanava, almeno per loro, lo scisma anglicano, avvenuto
ai tempi di Enrico VIII, che di mogli diverse ne aveva sposato ben sei. La
Grecia, però, allora non riconosceva il matrimonio contratto fuori dal rito
ortodosso. E i due, non più giovani, si sposarono per la terza volta ad Atene
con quel rito. Quella volta sanarono lo scisma tra cattolici e ortodossi,
avvenuto nel 1054, con la bolla papale di scomunica, deposta sull'altare di
Santa Sofia a Costantinopoli dal cardinale Umberto da Silva Candida.
Angelica vive ad Atene, ci sentiamo di tanto in tanto e
afferma sempre convinta di avere sposato il migliore italiano.
C'eravamo,
però, dimenticati di Pio XII e di come abbia avuto a che fare con Vincenzo. In
realtà il papa di Vincenzo non seppe mai nulla, ma successe che un giorno egli
ricevesse in San Pietro una delegazione di cattolici tedeschi. Vincenzo, che
abitava a Porta Cavalleggeri, vicino alla Basilica Vaticana, si trovò a passare
dalla Piazza ed entrò nella Basilica, attirato dai cartelli scritti in tedesco.
Il papa arrivò portato sulla sedia gestatoria, e poi si mise a parlare ai
presenti. Quando arrivò ai fedeli tedeschi, l'occasione - e forse la vanità -
lo portarono a usare la sua conoscenza del tedesco, lui che aveva firmato
complicati testi in tedesco per il concordato con Hitler nel 1933, e vissuto
per anni in Germania come nunzio apostolico, cioè ambasciatore del Vaticano.
Si rivolse dunque
ai tedeschi dicendo che avrebbe usato la loro lingua. Ma, vuoi per l'emozione,
o per l'età, o per un lapsus, o vuoi anche per l'identità della parola lingua, che, in italiano e in latino
indica sia il parlato che la lingua come organo, se ne uscì con lo
strafalcione: die deutsche Zunge… In
tedesco Zunge significa lingua in senso
anatomico. Per dire in tedesco: Mi mordo la lingua, si usa Zunge, la lingua organo, non Sprache,
la lingua parlata.
La cosa non
sfuggì a Vincenzo, che si sentì ribollire il sangue al pensiero di come e dove
aveva imparato il tedesco. E mentre Guardie Svizzere, Guardie Nobili e Palatine,
cardinali e gestatori beatamente sorridevano all'erudizione del pontefice, si
allontanò dalla Basilica bollando il papa con la sua voce cavernosa: Ignorante,
imbroglione…
Salvatore Mongiardo
12 ottobre 2019