Appunti sugli abati del monastero Vivariense
Da “La Radice” 25, 1 (2019), pp. 9-11
Stando a quel che scrive Cassiodoro (secc. V-VI) nelle sue Institutiones (I, 32, 11), la congregatio monachorum del Vivariense, ovvero del cenobio da lui fondato nei pressi della natia Squillace2 dopo, a quanto pare, il 554 d. C.3, era retta da due abati, i sanctissimi viri Calcedonio e Geronzio, il cui compito consisteva nel prodigarsi affinché i monaci riuscissero ad ottenere i dona della beatitudo ed ai quali, al tempo stesso, bisognava obbedire senza alcun mormorio di indignazione, tema, questo, non insolito, assieme a quello dell’obbedienza, nella letteratura monastica4.
Riguardo a quei sanctissimi viri, Mauro Donnini rileva che “lascia piuttosto perplessi la contemporanea presenza di due abati per una sola comunità” se si considera che nel capitolo in cui l’uno e l’altro sono nominati o, meglio, nel suo titolo (Commonitio abbatis congregationisque monachorum5), “figura il genitivo singolare” di abbas e non il genitivo plurale6.
Escluso che, esortando i monaci a sottostare alla volontà di Calcedonio e Geronzio, Cassiodoro si rivolgesse pure a quelli che, dopo essere stati “istruiti” dalla “consuetudine” cenobitica, avevano forse deciso di vivere come anacoreti nei montis Castelli secreta suavia, chiamati anche remota [...] heremi loca7 – lo escludo perché dal contesto sia del passo delle Institutiones inizialmente qui segnalato, sia del successivo risulta chiaro che Cassiodoro indirizzava le proprie raccomandazioni soltanto ai fratres del Vivariense –, per nulla sorprende il fatto che la comunità di questo cenobio avesse due abati. Dalla vita di Fulgenzio, vescovo di Ruspe, scritta tra il 533 e il 534 da un suo allievo di nome Ferrando, si apprende che, ritiratosi in un monasterium composto da pauci e simplices fratres, dei quali era abate un certo Felice, quel presule ricevette da lui il nomen e la potestas di abbas e, così, accollatisi il giogo gubernandae congregationis, tali viri sanctissimi si divisero i ruoli da svolgere8.
Come apprendiamo, inoltre, dalla Regula Magistri e da quella di San Benedetto, l’abate di un convento era, sì, uno solo, ma talvolta egli veniva assistito nelle sue mansioni da un secundus o secundarius abbas, cioè da un coadiutore che a tempo debito sarebbe divenuto il successore dell’altro9.
A questo punto, se da una parte è vero che, pur avendo intitolato Commonitio abbatis [...] il capitolo anzidetto usando il genitivo singolare di abbas10 al posto del plurale, Cassiodoro, poi, cita i nomi di due abati, d’altra parte, però, tenuto conto delle mie considerazioni precedentemente esposte, “la contemporanea presenza” di due superiori in una sola comunità monastica, quella del Vivariense, non costituisce una novità. Rende comunque stupiti ciò che, a proposito di Geronzio (coadiutore di Calcedonio, secondo il Cappuyns11), hanno dichiarato Ivan Gobry ed Antonio Caruso, vale a dire che egli era abate degli anacoreti12. Si tratta di un’asserzione opinabile, che non ritengo possa rispondere a verità. Ho già sottolineato, infatti, che nel passo dove si parla di Calcedonio e Geronzio (Inst. I, 32, 1), nonché nel successivo, la commonitio cassiodorea concerneva solo e indubbiamente i cenobiti, compresi i loro abati. In altre parole, incitando questi ultimi e la congregatio monachorum ad accogliere i pellegrini, a far l’elemosina, vestire gli ignudi, dar da mangiare agli affamati, non opprimere col peso di ulteriori tasse (adiectarum pensionum pondere non gravetis) i rustici al servizio del loro monasterium ecc., Cassiodoro si rivolgeva inequivocabilmente a tutti quei fratres che dimoravano dentro la cinta del cenobio (Omnes, quos saepta monasterii concludunt), da non identificare nei remota [...] loca di mons Castellum, dove, invece, avrebbero potuto risiedere gli anacoreti13.
Si osservi, ancora, che alcuni degli ammonimenti poc’anzi ricordati erano stati fatti dall’ex ministro di Teodorico in Inst. I, 29, 1 sempre ai monaci di quel cenobio (Invitat siquidem vos locus Vivariensis monasterii ad multa peregrinis et egentibus praeparanda14), i cui superiori, come risulta – ripeto – da Inst. I, 32, 1, erano Calcedonio e Geronzio. Ne consegue che, diversamente da quanto con un gratuito parere scrivono il Gobry ed il Caruso, Geronzio non poteva essere abate degli anacoreti, né poteva esserlo Calcedonio.
Ma, in fin dei conti, permettendomi di porre ai lettori un quesito già posto da James O’Donnell, “did” l’eremo di mons Castellum“need an abbot”15? Lo studioso americano non ha risposto a tale domanda, ma io credo fermamente di no. Scontato, infatti, che i consigli di Cassiodoro ai suoi fratres di vivere, qualora ne avessero sentito la necessità, come eremiti nei recessi di mons Castellum sono pur sempre dei consigli, ragion per cui non sappiamo se poi quei monaci vi praticassero l’anacoresi16, è interessante dire che, in base alla testimonianza di Giovanni Cassiano (secc. IV-V), presbyter molto apprezzato dal Nostro17, resi forti, prima, dall’esperienza di vita cenobitica e volendo successivamente agire in solitudine e piena libertà nella propria ascesi, gli eremiti non desideravano abbatis cura atque imperio gubernari18.
Aggiungo che, come si legge nel capitolo primo della Regola di San Benedetto, coevo di Cassiodoro, mentre i cenobiti milit(abant)19 sotto la guida di un abbas, gli anacoreti, al contrario, essendo stati preparati in un cenobio, ancor prima di divenire tali, ad eludere le insidie del demonio, erano capaci di lottare contra vitia carnis vel cogitationum in maniera autonoma20.
Va infine osservato qualcos’altro. Visto che nel suo proposito di raggiungere la perfezione interiore, un anacoreta principiante nutriva il desiderio, talvolta, di essere spiritualmente guidato, nel monachesimo orientale, da un ἀββᾶς21, cioè da un vecchio eremita così denominato per venerabile età o vita esemplare22, poteva avvenire che anche nel monachesimo occidentale, incluso quello dell’epoca cassiodorea, un neofita in campo anacoretico si comportasse allo stesso modo. In Occidente, però, seppur coniato sul calco del greco ἀββᾶς, il termine abbas era un titolo concesso non a qualsiasi frate per venerabile età, ma, sebbene, come in Oriente, anche per vita esemplare o, appropriandomi di un’espressione di San Benedetto, vitae [...] merito et sapientiae doctrina23, a chi, fra tanti monaci, era ritenuto degno di reggere una congregazione cenobitica da cui egli veniva eletto e dalla quale, pertanto, riceveva incombenze che un anacoreta, invece, appartato dal consorzio umano e dedito in solitudine alla preghiera e alla contemplazione, non avrebbe potuto adempiere. È facile capire, allora, che il sostantivo abbas fu creato nel monachesimo occidentale con esclusivo riferimento al mondo cenobitico e che, dunque, per quanto riguarda Cassiodoro, se dopo un periodo di tempo trascorso nel Vivariense, alcuni suoi monaci avessero voluto ritirarsi sui remota [...] loca di Montecastello, qui essi, come anacoreti, non avrebbero avuto un abate.
Lorenzo Viscido
NOTE
1. Ed. R.A.B. Mynors, Oxford 1937, p. 79.
2. Erroneamente alcuni lo chiamano Vivarium che, essendo però un toponimo (coniato in epoca moderna), sta ad indicare il locus del monasterium e non il monasterium che lo Squillacese vi fondò. Cfr. in merito L. Viscido, Ricerche sulle fondazioni monastiche di Cassiodoro e sulle sue Institutiones, Catanzaro 2011, pp. 39-42.
3. Cfr., ad es., J.J. O’Donnell, Cassiodorus, Berkeley – Los Angeles – London 1979, p. 190; A. Amici, Cassiodoro a Costantinopoli. Da magister officiorum a religiosus vir, in Vetera Christianorum 42, 2 (2005), pp. 221-222.
4. Cfr. S. Pricoco, La Regola di San Benedetto e le Regole dei Padri, Milano 20112, pp. 289, 323-324.
5. Cassiod., Inst. I, 32, 1, ed. cit., p. 79.
6. M. Donnini (a cura di), Cassiodoro. Le Istituzioni, Roma 2001, p. 121, nota 1.
7. Cassiod., Inst. I, 29, 3, ed. cit., p. 74: [...] si vos in monasterio Vivariensi [...] coenobiorum consuetudo competenter erudiat et aliquid sublimius defecatos animos optare contingat, habetis montis Castelli secreta suavia, ubi velut anachoritae [...] feliciter esse possitis. Sunt enim remota [...] heremi loca [...].
8. Ferrand., Vita Fulgentii 5, ed. G.G. Lapeyre, Paris 1929, p. 131.
9. Cfr. P. Courcelle, Nouvelles recherches sur le monastère de Cassiodore, in Actes du Ve Congrès international d’archéologie chrétienne, Aix-en-Provence 13-19 sept. 1954, Città del Vaticano - Paris 1957, p. 523 e nota 49.
10. Abbatis è lezione tramandata da quasi tutti i manoscritti. Solo il Vat. Pal. Lat. 274 (XI sec.) conserva un’altra lezione, ovvero ad abbatem.
11. Cfr. M. Cappuyns, L’auteur de la Regula Magistri: Cassiodore, in Recherches de théologie ancienne et médiévale 15 (1948), pp. 214-215.
12. I. Gobry, Cassiodoro monaco e santo, in www.cassiodoro.eu/cassiod.4.htm.
13. Ved. nota 7.
14. Ed. cit., p. 73.
15. Cit., p. 200.
16. Ved. nota 7. Grazie, tuttavia, a due lettere di papa Gregorio Magno, scritte nel 598 e, quindi, tanto tempo dopo i suggerimenti cassiodorei, siamo certi che i monaci a Montecastello conducevano in quell’anno vita cenobitica. Cfr. a tale riguardo L. Viscido, cit., pp. 49-51.
17. Cfr. Inst. I, 29, 2, ed. cit., p. 74.
18. Cfr. Cassian., Conl. XVIII, 7, 4, ed. M. Petschenig, Vindobonae 1886 (= CSEL13), p. 514.
19. Sulla metafora del monaco quale miles (= miles Christi) cfr. S. Pricoco, Alcune considerazioni sul linguaggio monastico, in Cassiodorus. Rivista di studi sulla tarda antichità 5 (1999), p. 182.
20. Ed. R. Hanslik, Vindobonae 1960 (= CSEL75), p. 17.
21. Cfr., ad es., Pallad., Hist. Laus. 22, 6 e 11, ed. G.J.M. Bartelink, Milano 1974, pp. 122 , 124 e 126.
22. Cfr. J. De Puniet, Abbé, in Dictionnaire de Spiritualité I, Paris 1937, pp. 49-57; J. Dupont, Le nom d’abbé chez les solitaires d’Égypte, in La vie spirituelle 75 (1947), pp. 216-230.
23. B.R. 63, 1, ed. cit., p. 148.
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