IL SOPRANNOME
"DISTINTIVO" DI OGNI
ANDREOLESE
L'idea del presente racconto mi è balenata dopo la
telefonata dalla Sicilia del gesuita Fratel Egidio Ridolfo, confratello di
Padre Giuseppe (mio fratello), con lui al Gesù Nuovo di Napoli dal 1967 al 13
dicembre 2010.
Ho avuto modo di conoscerlo e di sentirlo per telefono dopo
avergli inviato, nel 2006, la biografia "Una vita nascosta in Cristo - la
Monachella di San Bruno", della Serva di Dio Mariantonia Samà (nata nel
mio paese di Sant'Andrea Ionio - CZ), della quale è diventato così devoto
d'aggiungerla ai suoi tanti Protettori.
Sofferente a causa dell'inesorabile male che l'affliggeva
da tempo, è stato chiamato dal Signore il 13 gennaio 2013.
Circa due mesi prima mi aveva telefonato dalla clinica di
Palermo, dove si trovava per l'ennesimo controllo diagnostico, felice d'aver
terminato in quel momento la lettura del mio secondo libro: "Testimonianze
sulla Monachella di San Bruno".
Si era soffermato divertito e incuriosito sui vari
soprannomi, usati da me negli episodi dei miei concittadini, per agevolare la
conoscenza dei protagonisti e impedire di confonderli a causa delle numerose
omonimie. Era molto allegro nel ripetere quei nomi strani, inventati dagli avi
di ogni famiglia andreolese e l'ho intrattenuto volentieri per ridurre l'orario
d'attesa, in quel luogo tutt'altro che accogliente!
Non essendo in grado di risalire agli antenati di ogni
nucleo familiare, ho soddisfatto la sua curiosità con la storia ascoltata
diverse volte da mio padre, del soprannome ereditato da lui dalla mamma Maria
Caterina, figlia di don Giuseppe Damiani, andreolese, il quale apparteneva ad
un nobile casato e aveva sposato una giovane di umili origini.
Dopo qualche tempo dal matrimonio, Giuseppe Damiani si
trasferì in Sicilia per prendere servizio come cancelliere a Girgenti, mentre
la moglie, incinta, lo raggiunse quando la piccola Maria Caterina aveva già
circa quattro anni.
La moglie trovò difficoltà ad ambientarsi in un luogo molto
diverso dal suo per usi e costumi e soffriva per la lontananza dai genitori,
dai parenti, per la rara partecipazione alle funzioni sacre, tanto che il
marito, notato il suo disagio, cercò di andarle incontro.
Dopo circa quattro anni le permise di lasciare la Sicilia,
ma volle tenere con sé la ragazza per provvedere lui alla sua istruzione, visto
che in paese non esistevano ancora le scuole.
Entrambi convinsero la figlia a rimanere con la promessa
che, in assenza del padre, avrebbe avuto la compagnia di una donna che, al
momento, sembrava essere molto amorevole.
In seguito, però, tale donna si rivelò severa e niente
affatto comprensiva.
Pertanto, Maria Caterina divenne insofferente: aveva
nostalgia della madre, delle favole che le raccontava e delle preghiere che
recitavano insieme mattina e sera.
All'età di otto anni, durante una fiera in piazza, il padre
le permise di andarci da sola e, per la prima volta, si sentì libera in mezzo
alla gente del posto.
Sostava davanti ad ogni bancarella, ammirava gli oggetti
che l'attraevano e si divertiva a spostarsi da una parte all'altra, quando
s'incantò davanti a delle stoviglie variopinte. Le ricordavano quelle di creta,
lavorate al tornio dagli abili stovigliai andreolesi e assisteva volentieri
alla compravendita, fino a distinguere chiaramente l'accento calabrese nel
linguaggio del mercante.
Si avvicinò alle donne che gli stavano accanto, per
chiedere la loro provenienza e, nel sentire il nome del suo paese, esultò di
gioia sperando di poter realizzare il suo sogno. Raccontò la sua storia,
espresse piangendo il desiderio di riabbracciare la madre e riuscì a
commuoverle, fino a convincerle a condurla con loro.
L'imprevisto ritorno di Maria Caterina rese felice la madre
che, abbracciandola, le promise di non separarsi più da lei.
Gli abitanti del paese sapevano che don Giuseppe Damiani,
durante il suo servizio in Tribunale, usava la "parrucca", detta -
tuttora - in gergo dialettale "pilucca".
Questo termine li agevolò a trovare il
"soprannome" appropriato per la nuova arrivata: bastava indicare la
ragazza come Maria Caterina "e pilucca" per non confonderla con le
tante persone che avevano lo stesso nome.
Da giovane sposò l'esperto stovigliaio Giuseppe Samà, uomo
onesto, religioso ed ebbero tre figli, tra cui Andrea. Questi, in seguito al
matrimonio con la giovane Maria Concetta D'Amica, divenne padre di quattro
figli, compresa me, ed abbiamo ereditato il suo "soprannome".
Bisogna riconoscere l'utilità di questo
"distintivo" che ci permette di risalire anche dai discendenti agli
avi, come io stessa ho potuto constatare tante volte.
Infatti, quando mi reco in estate nel mio paese e incontro
i figli o i nipoti dei miei compaesani, emigrati da tempo in America o altrove,
risalgo al nome dei loro genitori e dei nonni dopo aver sentito la... magica
parola del loro "soprannome".
Concludo esternando la mia ammirazione nei confronti dei
nostri progenitori che, pur senza cultura, affrontarono situazioni difficili e
risolsero seri problemi, grazie alla loro acuta intelligenza e sofferta
esperienza.
Attenti osservatori in ogni stagione dei cambiamenti del
tempo e di altri fenomeni atmosferici, acquisirono una profonda conoscenza
empirica e si lasciarono guidare dal loro intuito nel lavoro campestre,
attuando un programma prestabilito ed efficace. Conoscevano il periodo adatto
alla coltivazione della terra, alla preparazione dei solchi per la semina del
grano, alla potatura degli alberi per rinvigorirli e sapevano individuare il
momento più idoneo per il raccolto e per una migliore conservazione del
prodotto. Non sapendo scrivere, erano talmente perspicaci da sintetizzare il
sapere in proverbi dialettali e in rima, per facilitare l'apprendimento e
insegnarli a loro volta ai pronipoti.
Si prova piacere a sentirli e a ripeterli perché permettono
alle nuove generazioni di risalire, a distanza di anni, alla profonda saggezza
degli antenati.
Intendo riportarne alcuni dal contenuto religioso, sociale
e giuridico, appresi dai miei genitori e dagli anziani del paese.
1) "Cui a Dio on crida, paradisu on bida"
(Chi
non crede in Dio, non vede il paradiso);
2) "Cui on rispetta u patra e ra mamma, on ava do
Signuri benedizziuani e manna!"
(Chi
non rispetta il padre e la madre, non riceve dal Signore benedizioni e
provvidenza!);
3) "Oja in figura, domana nsepoltura, mbiatu cui pe
l'anima procura!"
(Oggi
vivi, domani morti. Beato chi pensa a salvarsi l'anima!);
4) "Cùasi viduti, cùasi tenuti; cùasi arrobati, cùasi
tornati o aru mpiarnu ncatinati"
(La
roba trovata può essere trattenuta; quella rubata va restituita o si finisce all'inferno);
5) "Uamo abbisato, mìanzu sarvatu"
(Uomo
avvisato (di un pericolo) può salvarsi (se riflette!);
6) "Dimmi cu cui vai e ti dicu cu sii"
(Dimmi
con chi vai (chi frequenti) e ti dirò chi sei);
7) "Si bua chino u ceddaru puta e zzappa nte jennaru"
(Se
vuoi pieno il piccolo ripostiglio (per un abbondante raccolto), pota e zappa in
gennaio);
8) "Pe Sammartinu ogni mustu diventa vinu"
(Per
S. Martino (11 novembre) ogni mosto è già vino);
9) "Cu dassa a strata vecchia pa nova, sapa chiddu hi
dassa e on sapa chiddu hi trova"
(Chi
lascia la strada vecchia per quella nuova, sa ciò che lascia, ma non sa ciò che
trova): é un invito a riflettere per qualsiasi scelta;
10) "Arrobba strana e fatiga e festa, trasa d'a porta
e nescia d'a finestra"
(Il
guadagno del giorno festivo, entra dalla porta ed esce dalla finestra).
I nostri avi partecipavano ogni mattina alla Santa Messa,
prima di recarsi nei campi e l'intera popolazione rispettava con il riposo la
domenica e ogni festività.
Anche se privi di cultura, con l'esempio trasmisero alla
prole l'amore verso Dio e verso il prossimo.
In molte famiglie oggi manca il dialogo tra genitori e
figli e non riescono ad instaurarlo, perché interrotto dall'importuno,
frequente squillo del piccolo, inseparabile cellulare.
Auguriamo che i giovani della nuova generazione, inchiodati
sin da piccoli davanti al computer o ad un teleschermo, trovino il tempo di
alzare il loro sguardo verso il cielo per lodare Dio, nostro Creatore, per aver
dotato l'uomo di così tanta intelligenza e ingegnosità.
Dora Samà
Castelfranco Veneto, 19 marzo 2014
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