Detti famosi di Cola
d’a Fattura
Al secolo si chiamava Nicola
Betrò, ma in paese era conosciuto come Cola
d’a Fattura, nato all’incirca nel 1860 e morto nel 1941. Era il bisnonno di
Alfredo Varano e nonno, quindi, di sua madre Annina. Li ringrazio entrambi per
avermi fornito le informazioni che mi hanno permesso di ricostruire i suoi
detti che vengono ricordati ancora oggi.
Cola era alto e magro, aveva
occhi azzurrissimi e capelli sul biondo pettinati a mascagna. Ebbe sei figli,
alcuni emigrati in America i quali, durante la crisi degli anni Trenta, gli
mandavano 110 lire al mese. Appena riceveva la somma, Cola correva a comprare
pane che regalava ai poveri. Un suo figlio, che si chiamava Nicola come lui,
sposò Emilia Mattei, l’ultima discendente della nobile famiglia del letterato barone
Saverio Mattei. Emilia emigrò col marito a Brooklyn, dove visse e morì.
Cola faceva il duro lavoro della
maggior parte degli andreolesi, cioè zappava la terra. Ma affondare la zappa
sotto il sole nella terra dura non era per lui. Così un giorno decise di
smettere, lasciò la campagna della Pirarella e se ne tornò a casa. Entrò nel
basso, appese la zappa al chiodo e prese commiato dall’arnese con queste
parole: Dalle pietre ti guardo io, dalla ruggine guardati tu! De’ pìatri ti guardu io, d’a rùggia guardati
tu!
Dovette poi dare spiegazioni di
quella decisione e raccontò che, mentre stava zappando, un bombaco si mise a girare
attorno e gli ronzava: Cola, vattene, questo non è lavoro per te! Cola, vattìnda, chissu ’on è mistìari u tua!
Si diede allora al commercio
dell’olio e accompagnava i grossisti che lo compravano nei paesi dove lui
conosceva i migliori produttori. Avvenne così che una volta si ritrovò a
Satriano e si fece notte. Cola si mise in cammino per Sant’Andrea e, passando
vicino a una campagna, vide delle luci che si spostavano. Erano contadini che
zappavano, facevano i terribili maggesi di luglio per preparare la terra alle
prime piogge, e lavoravano di notte con le lanterne per evitare il solleone.
Allergico com’era alla zappa, Cola esclamò: Signore, ti ringrazio perché non
sono nato a Satriano! Signuri, ti ringràzziu
ca ’on nescìvi a Satriànu!
Una volta andò a Catanzaro in
treno e volle fare bella figura con i viaggiatori che leggevano il giornale. Se
ne procurò uno e cominciò a sfogliarlo, ma lo teneva alla rovescia perché era
analfabeta. Un viaggiatore glielo fece notare e lui rispose prontamente: Chi sa
leggere alla rovescia, sa leggere anche dritto! Cui sapa u lèja ara storta, sapa puru ar’a derìtta!
Un giorno stava tornando verso casa e, mentre scendeva per Piazza
Castello, chiese ad un carabiniere che saliva: Scusate, ma io vado o vengo? Scusati, ma io vàju o vìagnu? Il
carabiniere si sentì provocato e lo portò in caserma.
A Cola piaceva scherzare e un giorno chiese a una signora
alta e prosperosa: Se ti do dieci lire, vieni a coricarti con me? Si ti dugnu dìaci liri, vìani ’u ti curchi
cu mia? La donna rispose: Svergognato, a me dici queste porcherie? Sbirgognatu, a mia dici ’si porcherìi?
Subito Cola cambiò la proposta: Allora dai tu cinque lire a
me e vengo io a coricarmi con te! Allora tu
duni cincu liri a mia e vìagnu io u mi curcu cu tia!
Luglio 2012
Salvatore
Mongiardo
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