Pasqualino
Pasqualino Frustaci, nipote del Sordo, porta ancora con baldanza i suoi ottantadue anni come al tempo che militava, anima e corpo, nel Partito Comunista andreolese, del quale fu uno dei fondatori nel 1944. Lo incontrai una mattina di fine estate 2011 in Piazza Castello a Sant’Andrea, e lo invitai a venire in macchina in montagna, dove andavo ad attingere acqua alla Fontana dello Scoglio. Mio padre, da fontaniere, volle lasciare quella fontana a servizio del pubblico quando, intorno al 1950, immisero la sorgente nell’acquedotto comunale.
Pasqualino si lasciò andare ai ricordi e mi raccontò che aveva cominciato a badare alle pecore col pastore Saverio Zangari all’età di sei anni, con caldo, freddo, acqua e vento. A dieci anni passò sotto Antonio Varano e il 10 giugno del 1940 si trovava con lui a pascolare le capre presso il vecchio mulino di Macca, quando all’improvviso le campane suonarono a stormo perché l’Italia era entrata in guerra: Viva la guerra, dobbiamo distruggere l’America, viva Mussolini!
Non andò proprio così. Il 16 luglio del 1943, dodici aerei americani bombardarono il ponte sul fiume Alaca e la terra tremò tanto che le capre si dispersero. Nel cercare le capre Pasqualino ebbe sete e, dopo avere scacciato le vespe, bevve l’acqua che si era depositata dentro l’impronta lasciata nel fango dallo zoccolo di una vacca.
Intanto avanzavamo con la macchina sotto gli alberi della montagna, e a un punto Pasqualino disse:
-Qui c’era la fontana della Femmina Schietta. Sai perché si chiamava così?
Non lo sapevo, e mi spiegò che l’acqua usciva dalla fessura della roccia, stretta come la natura di una vergine. In andreolese schietta vuol dire non sposata, e si dice anche per il celibe: è schietto.
Raggiungemmo la nuova diga della Lacina, che fornisce acqua potabile a ottantasei comuni della costa tirrenica. Il paesaggio con gli abeti era alpestre; l’acqua del bacino artificiale aveva ricoperto la pozza chiamata Gran Gurno dalla quale, nel terremoto del 1783, uscivano acqua calda e fango. Non per nulla le cime attorno, oggi disseminate di pale eoliche, sono segnate sulle mappe come Monte Trematerra.
Al ritorno Pasqualino mi parlò di un grande masso isolato, la Pietra di Mommo, che un tempo si ergeva solitario. Gli andreolesi dicevano che quel masso era il Pallino dei Giganti: figuriamoci quanto dovevano essere grandi le bocce! Quell’allusione ai giganti era forse il ricordo di una civiltà megalitica che si sviluppò in Calabria in epoca preistorica, e che sembrerebbe confermata dal recente ritrovamento dei megaliti di Nardo di Pace.
Chiesi a Pasqualino di parlarmi di Mommo, e mi raccontò:
-Era uno che passando andò a guardare la pietra da vicino e si accorse che c’era una scritta:
Scoppa e troverai!
Scoppare significa in andreolese togliere il coperchio, la coppa, ma probabilmente quella scritta era un’allusione alla potente famiglia Scoppa e alla baronessa Enrichetta Scoppa, zia dei marchesi Lucifero, padrona di tutto il territorio dal mare ai monti. Mommo non seppe resistere alla tentazione, e riuscì ad aprirla in un punto. Ma vi trovò un’altra scritta, però beffarda:
E mo’ chi mi scoppasti, chi cazzu trovasti?
Mommo allora si adirò e prese a picconate la pietra fin quando quella non si aprì come una melagrana. E trovò il paiolo di rame, u stagnatìaddhu, pieno di ducati d’oro.
Lasciai Pasqualino davanti casa sua e prima di congedarmi gli feci la domanda tipica degli andreolesi:
-Pasqualino, chi ti parza d’a vita? Cioè, cosa ti è sembrata la vita, che idea te ne sei fatto.
Rispose.
-La vita è una cosa difficile e bisogna saper resistere saldamente a tutte le tempeste. Comunque ci vogliono sempre due cose: onestà e sincerità di cuore. Adesso però entra in casa, perché l’acqua è buona, ma il vino è meglio!
Natale 2011 Salvatore Mongiardo
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