Lettera a don Edoardo Varano (fondatore della Villa della Fraternità in Sant’Andrea Ionio)
Milano, 1 novembre 1994
Caro don Edoardo,
il pomeriggio del 28 agosto 1994 ero passato dalla Villa della Fraternità per salutarVi; mi dissero che eravate a leggere sotto i pini e mi avviai verso gli alberi che mitigavano l'afrore canicolare con la loro essenza. Discosto da Voi sedevano le Suore delle Poverelle, intente a letture edificanti. Voi invece avevate in mano il mio Ritorno in Calabria e segnavate alcuni passi a matita: orgoglio e commozione si azzuffarono brevemente dentro il mio petto.
"Non hai scritto nel tuo libro che mio zio don Luigi era un santo sacerdote!" mi apostrofaste con rimprovero.
Ah, il vecchio e tremebondo don Luigi, che passava le giornate chiuso in casa e sul comò della stanza da letto teneva un teschio di morto! Don Luigi, che faceva la pipì tenendo il membro con un pezzo di carta per non commettere peccato di impurità! Don Luigi, sempre terrorizzato dalla vita ed angosciato dall'idea di aver bestemmiato Dio con il pensiero! Ricordo una mattina dell'estate del 1959 che don Luigi entrò nella sacrestia della chiesa matrice. Appese il cappello e supplicò l'arciprete Samà:
"Arciprete, confessami perché ho peccato!"
"Finirà che tu ti salvi l'anima, ma a me la fai dannare!" borbottò l'arciprete.
E senza nemmeno farlo inginocchiare, lo assolse dai suoi peccati immaginari. Don Luigi si rasserenò e si vestì per la messa cantata nella quale lui faceva da suddiacono. Io ero l'inserviente e avevo già suonato la campanella che annunciava l'inizio della messa, quando don Luigi afferrò l'arciprete dalla manica: "Aspetta, devo confessami!". "Ma se ti ho confessato appena cinque minuti fa! Che peccati puoi aver commesso in mezzo a tutti noi!?" ribatté arrabbiato l'arciprete.
"Mentalmente ho lanciato una terribile bestemmia!" disse don Luigi.
"Tu non hai un cazzo da pettinare! (in andreolese si usa questa espressione per indicare che uno non ha niente da fare). "Io ti rompo il calice in testa" sbottò iroso l'arciprete Samà spingendo don Luigi verso l'altare.
Povero don Luigi! L'unica volta che si azzardò a tenere un panegirico, salì sul pulpito senza riuscire a pronunciare una sola parola e fu scosso da tremiti violenti finché non lo tirarono giù. Certo, era un uomo buono che lasciò tutto ai poveri, ma non era santo per la scrupolosa osservanza dei precetti pazzeschi della Chiesa. Sarebbe stato più santo se avesse pensato di meno al peccato e alla morte badando invece a vivere.
Ma torniamo al pomeriggio del 28 agosto. Io ero disposto ad ascoltarVi senza preconcetti, pronto a rivedere tutte le mie idee se Voi, dall’alto della Vostra esperienza ventennale di docente di centinaia di sacerdoti, mi convincevate che avevo sbagliato, che non avevo il diritto di mettere in discussione duemila anni di cristianesimo con innumerevoli testimonianze di fede, di opere e pensiero. Mi sedetti su una soglia di granito che riverberava calore. Il mare aveva colori sbiaditi, come se l'azzurro fresco del mattino si fosse sciupato durante il giorno. La mia domanda fu precisa:
"Come può la pena capitale della croce, il sangue versato da Gesù essere strumento di redenzione? Il sangue non lava, ma sporca; il sangue serve per portare l'ossigeno dai polmoni ai tessuti. Un Dio che accetta, anzi pretende il sangue del figlio per la salvezza degli altri è pura follia, è il veleno della cristianità. E' la legittimazione, anzi la sacralizzazione della violenza."
Voi faceste uno sforzo di sintesi e a chiare parole mi spiegaste:
"L'uomo con il peccato ha offeso Dio, che è bene infinito, e qualcuno doveva riparare l'offesa pagandone il prezzo. Perciò Gesù, figlio di Dio, con il suo sacrificio di valore infinito ha cancellato tutti i peccati del mondo".
Tremai quel pomeriggio al pensiero che un'idea così banale, rozza e primitiva come il pagamento era stata innalzata addirittura a dogma della fede cristiana. Mi perdonino i miei amici ebrei, ma questa idea fissa del prezzo, del pagamento, del danaro è tipica della loro cultura. Il pagare un debito è per gli ebrei di fondamentale importanza; non è certo una preoccupazione che toglierebbe il sonno a un napoletano, tanto per fare un esempio. Ma poi pagare per che cosa? Per quella mela del paradiso terrestre! Se proprio dobbiamo pagarla, possiamo farlo con una camionata di ottime mele della Val di Non! Il peccato della mela non esiste, come non esiste quello di Prometeo che rubò il fuoco agli dei. C'è un solo vero peccato e si chiama violenza; tutto il resto è errore. Errore deriva da errare, vagare, andare alla ricerca: l'errore è connaturato all'uomo, è il suo metodo di crescita: errare è umano. Non è un modo di dire che Gesù si è sbagliato, che ha commesso un errore a finire sulla croce: ha cercato a modo suo e con folle generosità di bloccare i meccanismi della violenza. Noi dobbiamo imparare la lezione della croce ed evitarla, mentre la Chiesa nei secoli ha additato la croce come mèta ambiziosa da raggiungere.
Croce, sacrificio, redenzione: questi sono i tre punti basilari del cristianesimo: così affermava la sera del 19 ottobre
E a questo proposito devo raccontarVi una storia che vi riguarda personalmente. Deve essere successo intorno al 1950 quando avevo nove anni. Ero andato da mia nonna Marianna, che abitava accanto a casa Vostra. Mi vide Vostro padre Francesco e mi condusse nel basso pieno di botti di vino, vasi di ulive e ceste di melagrane. Prese una di queste ultime con i chicchi in mostra come rubini e me la diede. Vostra madre Rosariuzza, con un pentolino pieno di zolfo bollente, stava sigillando le doghe della botte grande, la più grande di tutto il paese, che aveva una porticina da dove entrava una persona quando era il momento di pulirla. Lei mi chiese:
"Cosa vuoi fare da grande, il forgiaro come tuo padre che è sporco dalla mattina alla sera? Meglio se ti fai prete come mio figlio Edoardo che è un santo sacerdote. Pensa che durante la guerra mondiale ha fatto penitenza dormendo sempre vestito per ottenere la pace."
Questo mi raccontava Vostra madre circa mezzo secolo fa e ora io collego il Vostro dormire vestito a papa Pio XII che durante la guerra dormiva sul pavimento per penitenza, ma non intervenne in favore degli ebrei. Inutilmente si affannano i Gesuiti a spulciare gli atti della Sede Apostolica per dimostrare che Pio XII fece il possibile per salvarli. Il papa non protestò contro il loro sterminio per il semplicissimo motivo che lui era intimamente sacerdote. E il sacerdote altro non è che il mediatore di violenza, quello che mette d'accordo carnefice e vittima fino a indurli al sacrificio: sacerdozio, sacrificio e vittima sono il trinomio che ha portato il mondo alla desolazione. Voi nel silenzio della Vostra cameretta, il papa nel grande silenzio dell'appartamento in Vaticano, credevate di offrire penitenze meritorie e invece eravate complici di uno sterminio di massa. Come avrebbe protestato Pio XII, e come protestano i suoi successori a gran voce, se qualcuno mette in discussione la morale sessuale della Chiesa! Come parlano chiaro se qualcuno si azzarda a ipotizzare l'uso di contraccettivi e profilattici: encicliche, commissioni di studio, prediche, interventi!
La religione cristiana per millenni ha evocato sangue e sacrificio in ogni messa e ha sommerso l'umanità sotto un diluvio di sangue. L'evocazione crea un’attesa che viene riempita dall'avvenimento evocato. Si è evocato il volo umano dai tempi di Icaro, e oggi l'uomo vola con facilità da un continente all'altro. Ugualmente, se non evochiamo la fine di ogni violenza e di ogni inutile sacrificio, a cominciare da quello di Cristo, non entreremo nella civiltà ‘sissiziale’, conviviale, la nuova civiltà nella quale Gesù viene tolto dalla croce perché nessuno vuole più il suo sangue. Anzi lui stesso, vittima per eccellenza, viene invitato al convivio a bere con noi il vino. E con le assi della croce faremo la tavola del convivio.
Per rispondere a una mia obiezione diceste anche, quel pomeriggio, che a volte gli uomini sbagliano, mentre i princìpi di fede sono sempre santi e giusti. A volte mi illudo che sia ancora possibile salvare la tradizione cristiana nella quale il nostro popolo, la mia famiglia, io stesso siamo stati allevati. A mente fredda devo riconoscere però che aveva ragione don Ciccio Laugelli quando diceva: "Il pitale della tradizione cristiana è talmente incrostato di sporcizia che non c'è niente capace di lavarlo. Bisogna buttarlo via."
Termino con un pensiero che mi viene nel chiudere questa lettera e che curiosamente mi mette di buon umore. Strano destino è il mio: da allievo problematico dei preti sto diventando il loro migliore maestro e restituisco loro in luce quello che mi diedero in tenebra, in amicizia la slealtà, in coraggio la paura, in allegria il pianto.
Salvatore Mongiardo